sabato 9 gennaio 2010

Collasso

Jared Diamond, l'autore di "Armi, acciaio e malattie" (uno dei saggi più interessanti e di ampio respiro che abbia mai letto), restringe – si fa per dire – un po' il campo e in questo "Collasso" (uscito nel 2005) si occupa principalmente di un unico argomento: la fine delle civiltà. Il volume analizza dapprima il crollo di alcune società del passato, più o meno grandi, isolate e integrate con il territorio che le circondava (i maya, l'isola di Pasqua, la civiltà anasazi, l'insediamento vichingo in Groenlandia), illustrando le cause che le hanno portate a un rapido declino, e talvolta alla completa scomparsa, pochi anni dopo che avevano raggiunto il loro picco d'ascesa. Diamond poi si occupa di "disastri" più recenti e di tendenze contemporanee: il genocidio in Ruanda, la crisi di Haiti, il degrado ambientale in Australia, l'instabilità della Cina. E infine prova a trarre da tutto ciò qualche insegnamento e ad azzardare qualche previsione per gli anni a venire. Tanto nel passato quanto nel presente (e quindi, si immagina, nel futuro), infatti, i problemi sono sempre gli stessi e consistono invariabilmente nel degrado del territorio (per esempio, nel caso dell'Isola di Pasqua, la deforestazione), nella non sostenibilità dell'espansione e della crescita demografica (Haiti, Ruanda), nel mancato adeguamento dei propri valori originali alle nuove condizioni (i vichinghi, gli australiani), nella dipendenza dai partner commerciali esterni (Pitcairn, ancora i vichinghi), nei cambiamenti climatici naturali (gli anasazi), e naturalmente in una combinazione di tutto questo (i maya). Non mancano esempi positivi, vale a dire di società che, in qualche modo, sono riuscite a rendersi conto del declino che stavano sperimentando, a individuarne le cause e a "invertire" la tendenza: dal Giappone dell'era Tokugawa, che ha fermato la deforestazione e ha anzi rivitalizzato il proprio territorio, alla Repubblica Dominicana, che a differenza di Haiti ha preservato la propria metà dell'isola Hispaniola, fino – ai giorni nostri – al comportamento di alcune, singole, compagnie petrolifere che hanno capito come curare l'ambiente sia anche nel loro interesse e che ragionare sul lungo periodo (e non solo sui guadagni a breve termine) alla fine convenga anche a loro. Molto spazio è dedicato anche agli Stati Uniti d'America, in particolare a due regioni che – per motivi diversi – si trovano sull'orlo del precipizio: il Montana e l'area di Los Angeles. La causa principale di declino, comunque, viene quasi sempre identificata nell'impatto dell'uomo sull'ambiente, di volta in volta traducibile nell'uso eccessivo o sbagliato delle risorse (il legno, il pesce, il suolo, con crescita dell'erosione, della salinizzazione, dell'inquinamento), che a sua volta dipende o è motivata dagli altri elementi considerati (la crescita demografica, l'instabilità politica o economica, ecc.).
Il principale difetto del libro, purtroppo, coincide con uno dei suoi pregi: lo stile divulgativo con cui è scritto. Diamond è assai didascalico, quasi tutti i concetti sono ripetuti più e più volte, anche a distanza di poche righe, come a essere certo che entrino nella mente del lettore; in ogni capitolo vi sono continui riferimenti e riepiloghi del contenuto dei precedenti o dei successivi; e ogni fenomeno è spiegato fin troppo schematicamente, con un dettagliato elenco di cause e motivi, come se l'autore stesse parlando a un auditorio di studenti che devono prendere appunti. Nonostante questo, è una lettura parecchio interessante.

venerdì 1 gennaio 2010

Il 2009 al cinema

Eccoci, come di consueto, alle mie considerazioni personali sulle visioni in sala nell'anno appena trascorso. Il 2009 si era aperto con una serie di titoli decisamente buoni: fra questi (oltre al bel "Milk" di Gus Van Sant), ricordo alcuni film di registi che non amo particolarmente ma che stavolta mi hanno davvero sorpreso in positivo, come "The wrestler" di Darren Aronofsky, "Revolutionary Road" di Sam Mendes e soprattutto lo straordinario "Two lovers" di James Gray, probabilmente la pellicola che ho preferito fra tutte quelle viste in sala nell'anno appena trascorso. Non mi sono invece stracciato le vesti per "Gran Torino" di Clint Eastwood e per "Il curioso caso di Benjamin Button" di David Fincher, che – pur piacendomi – mi sono sembrate decisamente sopravvalutate da pubblico e critica. Lo stesso vale per il tanto celebrato "Bastardi senza gloria" di Quentin Tarantino, che mi è parso ben distante dai suoi film migliori, pur rappresentando un passo avanti rispetto al disastroso "Grindhouse". Non male invece Lars von Trier con il suo assai discusso "Antichrist". A differenza dell'anno precedente, il 2009 mi ha invece deluso dal lato del cinema commerciale e/o d'intrattenimento. Né "Watchmen" di Zack Snyder né lo "Star Trek" di J.J. Abrams si sono rivelati all'altezza delle aspettative e del materiale di partenza. Molto più interessante è stato "Franklyn" del debuttante Gerald McMorrow. La stagione dei festival ha portato molte buone pellicole: ricordo su tutti "Un prophète" di Jacques Audiard (ancora inedito nelle sale italiane!), "Il nastro bianco" di Michael Haneke e "Il mio amico Eric" di Ken Loach a Cannes; "Lourdes" di Jessica Hausner, "Soul Kitchen" di Fatih Akin e "Accident" di Soi Cheang a Venezia. I mesi autunnali e invernali sono stati dominati dal cinema d'animazione, con la grande novità del 3D che sta lentamente prendendo piede (per quanto personalmente mi lasci freddino e perplesso: aspettiamo Cameron per capire se si tratta di uno strumento davvero utile alla settima arte). Il miglior titolo del gruppo è stato senza dubbio "Up" della Pixar, ovviamente considerando fuori concorso il capolavoro "Il mio vicino Totoro" di Hayao Miyazaki (distribuito nel 2009 ma realizzato nel 1988!), che altrimenti sarebbe di diritto il miglior film dell'anno. Qualche personal cult come "Io, Don Giovanni" di Carlos Saura e "Ricky" di François Ozon, oltre a una manciata di graditi ritorni (Terry Gilliam con "Parnassus", Francis Coppola con "Segreti di famiglia", Pedro Almodóvar con "Gli abbracci spezzati"), hanno infine ravvivato il finale di un anno che si è concluso senza infamia e senza lode ma che comunque ritengo più soddisfacente del 2008. Speriamo in un 2010 ancora migliore, a cominciare da "Avatar".