domenica 29 novembre 2015

Gozzo Unterlachen, poeta maledetto

In una Milano quotidiana e trasfigurata, funestata da traffico, lavori pubblici e burocrazia e popolata da creature mitiche, adoratori del grande Expo, gnomi messaggeri e uomini-piccione, si muove il protagonista di questo libro, il poeta Gozzo Unterlachen. Perseguitato da venditori di angurie, multe a ripetizione e misteriosi omonimi, egli è ben conscio di essere (letteralmente) un poeta maledetto: quello che non sa, invece, è quale sia la sua maledizione. Per scoprirlo, dovrà intraprendere un lungo e pericoloso viaggio "attraverso il dominio dell’Oscuro Signore delle Fiamme Infernali Senza Requie della Bassa Padana, fino alla città dei morti: Vigevano". Un romanzo comico, eccentrico, fantastico, avventuroso, che guarda a Douglas Adams e Daniel Pennac, definito dall'editore un incrocio "fra Gianni Rodari e Neil Gaiman" e da uno degli autori (lo pseudonimo nasconde infatti tre vecchie conoscenze) "fra China Miéville e Cochi & Renato", talmente ricco di trovate e di spunti che è facile, per ogni lettore, trovarci qualcosa di diverso: chi una satira di determinati aspetti della vita moderna (dalla religione all'urbanistica, dalla politica alla cultura), chi un messaggio esistenzialista o un sottotesto psicologico-archetipico, chi un affezionato omaggio al territorio meneghino (hinterland compreso), chi una semplice raccolta di citazioni (intelligenti e spesso "trasparenti", nel senso di non risultare dannose a chi non riuscisse a coglierle) a libri, canzoni, pellicole di vario genere (da Ghostbusters al Signore degli Anelli, dai film d'azione ai buddy movie), chi semplicemente un'avvincente avventura on the road in un setting da urban fantasy o new weird, un mondo con le sue regole (per quanto folli) e i suoi bizzarri abitanti, che nulla ha da invidiare agli universi magici che vanno per la maggiore in gran parte della letteratura d'evasione degli ultimi decenni. Un mondo così articolato e complesso, così vasto e ricco di potenziale, che è lecito attendersi di vederlo rivisitato in seguito con altri volumi (sebbene non con gli stessi protagonisti). In ogni caso, qualcosa di così diverso da gran parte della letteratura italiana contemporanea che il suo passaggio inosservato sarebbe un peccato. Qui si può leggere il primo capitolo. Oltre alla versione cartacea, sul sito dell'editore è disponibile anche quella in e-book. Di seguito il booktrailer.

sabato 14 novembre 2015

Wozzeck (La Scala 2015)



Ieri sera ho assistito alla Scala a una bella rappresentazione del "Wozzeck" di Alban Berg, capolavoro operistico della scuola dodecafonica e pietra miliare della musica del ventesimo secolo. Conoscevo l'opera solo di fama, e nonostante la complessità della partitura (non certo facile da apprezzare a un primo ascolto, colma com'è di temi, rivoli, dissonanze e sonorità particolari, servite da un'orchestra di ampie proporzioni che in alcuni punti si sdoppia e sale direttamente sul palco), mi è piaciuta davvero molto. Il libretto è tratto dal lavoro teatrale di Georg Büchner, "Woyzeck", rimasto incompiuto nel 1837 alla morte dell'autore (a soli 23 anni): stupisce davvero che un testo simile sia stato scritto da un ragazzo così giovane, e per di più a inizio ottocento, visto come si sposa bene con la sensibilità e i temi del primo novecento. L'opera di Berg (che iniziò a concepirla negli anni della prima guerra mondiale, quando era soldato) può infatti essere accomunata a quello che le altri arti stavano portando avanti, soprattutto in Germania, nel campo dell'espressionismo: i dipinti di Schiele, Munch o Kokoschka; i testi di Kafka o Döblin; il cinema di Wiene ("Il gabinetto del dottor Caligari"), Wegener e Lang. Gran parte di tutto questo, naturalmente, sarà etichettato come "arte degenerata" durante il regime nazista. E in effetti è difficile separare i contenuti e le forme di questi lavori dalle contraddizioni e dalle incertezze vissute dalla Germania nel periodo fra le due guerre.



La vicenda, ispirata da un reale fatto di cronaca avvenuto nel 1821 (l'uccisione della propria compagna da parte di un soldato), è un pretesto per parlare della psiche umana, della società e di come l'angoscia e gli abissi della follia possano inghiottire un'anima fragile e tormentata: il soldato Wozzeck ("per il quale persino l'uniforme di un normale fante sembra troppo imponente", scrisse Rilke), vittima di abusi da parte dei suoi superiori (il capitano della guarnigione, il medico che lo sottopone a strani esperimenti) e indifeso di fronte alle tragedie della vita (come il tradimento di Maria), è un tragico personaggio che simboleggia tutta l'umanità. Ottimi tutti gli interpreti, nessuno escluso, così come la direzione musicale chiara e pulita (nonostante la succitata complessità della partitura!) di Ingo Metzmacher, capace di rendere accessibile la bellezza della musica anche a chi, come me, l'ascoltava per la prima volta. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando i lavori di Berg (e di colleghi come Schönberg, suo maestro, e Webern) venivano fischiati: ormai fanno parte anche loro a pieno titolo del "repertorio classico"! L'allestimento del regista Jürgen Flimm, che aveva debuttato alla Scala nel 1997, è moderno, semplice ma efficace, con una scenografia che non cambia praticamente mai durante tutta la rappresentazione, un unico atto ininterrotto di circa 90 minuti: peccato solo che la decontestualizzazione degli elementi scenici porti a non rappresentare sul palco il lago in cui Wozzeck getta il coltello dopo aver ucciso Maria e, soprattutto, la luna rosso sangue che lo tormenta nelle ultime scene (sarebbe bastato un gioco di luci).