lunedì 11 dicembre 2017

Andrea Chénier (La Scala 2017)



La stagione della Scala si è aperta con un'opera che mancava al Piermarini da 32 anni (quando l'aveva diretta lo stesso Riccardo Chailly) e che proprio nel teatro milanese era stata allestita per la prima volta nel 1896. Non la conoscevo, e mi ha fatto una buona impressione: il libretto ha il merito di fondere bene le vicende personali dei singoli con lo sfondo storico e sociale della rivoluzione francese, mentre la musica di Giordano, compositore verista, ha una sua identità precisa, pur ricordando a tratti Puccini ("La Bohème" e soprattutto "Tosca") e Wagner (nella struttura a continuazione, senza separazioni nette con numeri chiusi: anche per questo, il direttore d'orchestra ha chiesto – e ottenuto – che gli spettatori non applaudissero durante lo spettacolo, se non alla fine). Il soggetto, che racconta la storia d'amore fra il poeta André Chénier (vissuto realmente) e la nobildonna Maddalena di Coigny, della quale è innamorato anche il rivoluzionario Gerard, si dipana per diversi anni: il primo quadro si svolge quando la rivoluzione sta per cominciare (e Gerard è un servitore a casa Coigny), mentre i successivi ne mostrano i vari sviluppi, fino al periodo del terrore. La musica, che ingloba brevemente anche temi come l'inno dei rivoluzionari (la "Ça ira") e la Marsigliese, è a tratti intensa e toccante, con picchi nella grande aria del soprano ("La mamma morta") e nel complesso duetto finale. Tutti molto bravi gli interpreti (Yusif Eyvazov, Anna Netrebko e Luca Salsi nei tre ruoli principali), solida la direzione di Chailly, semplice ma esemplare la regia di Mario Martone così come la scenografia di Margherita Palli, che a loro volta hanno saputo immergere la vicenda e il dramma dei singoli all'interno del contesto storico, rappresentando visivamente sul palco (in rotazione) i movimenti delle masse, tanto dell'aristocrazia (con i balli di gruppo e la gavotta del primo quadro) che del popolo. Ottima l'accoglienza, sia in sala (con oltre dieci minuti di applausi) che in televisione (la diretta su Rai 1 ha raccolto due milioni di spettatori: francamente tanti per un'opera non certo facile o particolarmente popolare presso il grande pubblico).


venerdì 22 settembre 2017

Rat-Man e l'effetto Cerebus

Con l'albo 122, in edicola in questi giorni, si conclude la serie regolare di Rat-Man, uno dei personaggi più significativi e più amati del fumetto italiano degli ultimi trent'anni. Ed è interessante lanciare uno sguardo indietro, per riflettere sulle sue origini e su quello che, nel corso degli anni, è diventato. Nato nel 1989 come semplice parodia usa-e-getta di Batman (era appena uscito il film di Tim Burton), di cui scimmiottava persino il nome, Rat-Man è passato dalle fanzine autoprodotte alla pubblicazione professionale, conquistandosi mese dopo mese un seguito sempre maggiore e un fenomenale successo di pubblico e di critica: inizialmente per merito della comicità infusa a piene mani dal suo creatore, Leo Ortolani, e delle irresistibili prese in giro del mondo dei supereroi; in seguito, però, anche per una sempre più complessa e matura riflessione sui temi dell'esistenza, dell'identità e dell'amore.



Rat-Man si è infatti progressivamente allontanato dalle sue origini puramente comiche e parodistiche (senza mai rinnegarle del tutto, sia chiaro) per guadagnarsi un suo spazio personale e diventare qualcosa d'altro, al punto che pochi dei suoi lettori – forse solo quelli che lo hanno seguito sin dagli inizi – si ricordano ancora da dove è partito. Non che le sue storie abbiano mai messo da parte l'umorismo (spesso irriverente o politicamente scorretto, quasi sempre geniale e spiazzante nella sua semplicità): semplicemente questo è diventato il sale di una pietanza fatta di sofferenza e coming-of-age, una lunga saga generazionale su temi quali l'autodeterminazione, la responsabilità, la colpa e la redenzione. Se la sfrondiamo dalle battute, la storia di Rat-Man è quanto di più drammatico, maturo e complesso il fumetto italiano popolare cosiddetto "umoristico" abbia sfornato da molti anni a questa parte. Un vero capolavoro.

Nel nascere come parodia senza troppe pretese e nel conquistare progressivamente una propria identità, finendo col sopravvivere al materiale di partenza, Rat-Man ha parecchio in comune con un altro personaggio del fumetto indipendente, in questo caso americano: il "Cerebus" del canadese Dave Sim. Nato nel 1977, Cerebus (un oritteropo antropomorfo!) era inizialmente una presa in giro di Conan il barbaro, che ai tempi furoreggiava negli albi Marvel disegnati da Barry Windsor-Smith (al cui stile, originariamente, Sim si ispira). Autoprodotto dall'autore, proprio come Rat-Man, nell'arco di una manciata di numeri il fumetto di Cerebus comincia a imbastire saghe sempre più lunghe e complesse, prendendo sul serio quei presupposti alla base del personaggio (compreso il fatto di essere un animale parlante in un mondo popolato da esseri umani) che sembravano essere stati pensati solo per far ridere. Le gag non vengono rinnegate, ma cominciano a essere usate per costruirvi sopra delle trame serie, dai sottotesti filosofici, esistenzialisti, politici e religiosi. E le prime storie, anche quelle più strampalate, anziché far finta che non siano mai avvenute, vengono rilette, reinterpretate e integrate nella continuity, assumendo nuovi significati.



Al link che segue (attenzione: conduce a Tv Tropes, un sito pericoloso, perché una visita si può prolungare per ore, passando di collegamento in collegamento!) viene definito proprio come "Cerebus Syndrome" quel caso in cui un personaggio o un'opera di finzione, nata come leggera e derivativa (e cosa c'è di più "Innocuo" di una parodia one-shot?) si trasforma con il tempo in una serie persino più profonda o più significativa dell'ispirazione di partenza. Segno che l'autore aveva soltanto bisogno di una piccola spinta, di un input iniziale, per cominciare a tirar fuori da sé tutto il proprio potenziale artistico e narrativo. È un effetto che si ritrova, più o meno marcato, in diversi fumetti seriali (si pensi al manga "Dragonball" di Akira Toriyama, che comincia anch'esso come parodia comica della leggenda buddista dello Scimmiotto; o se vogliamo anche al Topolino di Floyd Gottfredsson e al Paperino di Carl Barks, che partono da personaggi quasi monodimensionali, protagonisti di buffi cortometraggi animati, e costruiscono attorno a loro città e mondi interi, rendendoli protagonisti di avventure memorabili) ma che proprio in "Cerebus" prima e in "Rat-Man" poi ha avuto la sua manifestazione più eclatante.

giovedì 31 agosto 2017

Mercurio Loi 4

Giunti al quarto numero, si può ormai dire per certo che "Mercurio Loi" è una delle più belle sorprese degli ultimi anni nel campo del fumetto bonelliano. Quella che sembrava all'inizio una semplice rilettura di Sherlock Holmes, ambientata però nella Roma di inizio ottocento, si è rivelata molto di più: gli intrecci gialli lasciano spazio spesso e volentieri all'approfondimento psicologico dei personaggi, i due protagonisti in primis, che nel giro di pochi albi hanno già acquistato una personalità quanto mai originale e stimolante. L'ambientazione storica è funzionale sì alle vicende narrate ma si presta anche a fare da sfondo a riflessioni filosofiche (che sfiorano anche la politica e la religione) senza costrizioni di tempo. La scrittura di Alessandro Billotta è multiforme, stratificata, suggestiva, a tratti diretta e a tratti enigmatica, imbastisce inganni e svela misteri con una capacità di racconto in grado di soddisfare il palato del lettore più esigente anche e soprattutto perché non ne insulta l'intelligenza, offrendo semmai numerose chiavi di lettura e stimoli a una rilettura immediata del numero appena concluso. Straordinario, per esempio, il gioco in atto sui cliché del supereroe (Mercurio e Ottone come Batman e Robin). Dei disegni non ci si può certo lamentare, avendo visto all'opera finora fior di professionisti come Matteo Mosca, Giampiero Casertano, Onofrio Catacchio e Sergio Gerasi, alle prese con sceneggiature che suggeriscono talvolta trovate grafiche (quasi) mai viste prima in un fumetto bonelliano (le vignette mute che illustrano sapori o sensazioni, per esempio). I colori, a forte rischio di rivelarsi il punto debole dell'intera operazione, migliorano numero dopo numero. Ma al di là di tutte queste parole, basterebbe la lettura di un albo delizioso come questo numero 4, attualmente in edicola, per vincere le ultime resistenze, una spiazzante avventura culinaria che grazie alla ricchezza delle sue sfumature che potrebbe accontentare qualsiasi gusto: dagli appassionati di fumetto d'autore in stile Gipi a coloro che sguazzano nella bédé franco-belga. Un numero che profuma di pietanze della cucina popolare romana ma anche di acutissime sfide intellettuali, con personaggi mai scontati o prevedibili, con una premessa semplice e una risoluzione commovente. La genialità dello Sclavi dei primissimi "Dylan Dog" sembra aver davvero trovato un erede. Speriamo soltanto che le vendite mantengano a lungo in edicola quella che sta promettendo di diventare una delle serie bonelliane più belle di sempre.

mercoledì 28 giugno 2017

La deriva del giornalismo italiano (scientifico e non)

Quando nei giorni scorsi ho letto su diversi siti di quotidiani italiani la notizia che, secondo Anonymous, la NASA stava per annunciare l'esistenza degli extraterrestri, subito la cosa mi è sembrata alquanto improbabile. E infatti, è già arrivata l'ovvia smentita. Praticamente un tizio qualsiasi, dichiarando di appartenere ad Anonymous (non sarebbe neanche vero), ha pubblicato un video su Youtube in cui afferma che dietro alcune dichiarazioni di un rappresentante della NASA risalenti a oltre un anno fa (!) si nasconderebbe la prova che era imminente un annuncio in tal senso. Come ricostruisce l'ottimo Paolo Attivissimo sul suo blog, la fake news era talmente evidente, e facilmente verificabile con un minimo di indagine giornalistica, che stupisce il fatto che tutte le maggiori testate italiane (parliamo de "La Repubblica" e del "Corriere della Sera", fra gli altri) l'abbiano ripresa senza alcun controllo e dandole risalto come se fosse vera. Con un simile livello qualitativo, c'è da stupirsi se il giornalismo e l'editoria tradizionale sono in crisi? E se, purtroppo, i paladini dell'antiscienza (quei criminali degli antivaccinisti in primis) hanno sempre più vita facile a diffondere le loro baggianate?


La Repubblica


Il Messaggero


Corriere della Sera


Huffingston Post

mercoledì 7 giugno 2017

Mercurio Loi 1

Nei giorni scorsi è sbarcata nelle edicole una nuova collana a fumetti edita da Sergio Bonelli Editore, con alcune caratteristiche che la distinguono parecchio dalle altre. "Mercurio Loi", creata dall'abile sceneggiatore Alessandro Billotta (il primo numero è disegnato da Matteo Mosca), è ambientata nella Roma dei primi decenni dell'Ottocento, quando la Città Eterna era ancora la capitale del Regno Pontificio, fra intrighi politici e religiosi, misteriose sette esoteriche o carbonare, e sfide intellettuali fra figure che ricordano (in versione teverina) Sherlock Holmes e Moriarty. Il personaggio era già apparso in un numero della collana "Le Storie", il 28 (uscito nel gennaio 2015), e ora diventa protagonista di una serie mensile tutta sua. È il primo caso di "spin-off" che nasce da quella serie antologica (ma non resterà l'unico: è già in programma una collana dedicata ai "samurai" di Recchioni e Accardi). Se l'ambientazione ha sicuramente il suo perché (il setting italiano non è frequentatissimo dagli autori di casa Bonelli: a memoria, ricordo solo la miniserie "Volto Nascosto" di Gianfranco Manfredi e una sequenza di albi del "Martin Mystère" di Alfredo Castelli, oltre naturalmente ad alcuni albi singoli od occasionali di altre collane, antologiche o meno), il vero punto di forza di "Mercurio Loi" sembra già da subito il lavoro di sceneggiatura di Billotta, che dona profondità e una caratterizzazione originale ai vari personaggi, giocando con i cliché del genere ma lanciando al lettore numerosi spunti da approfondire nei numeri a venire. Le copertine sono di Manuele Fior, il cui stile è decisamente poco bonelliano. Una nota sull'uso del colore: da "Orfani" in poi, la quadricromia sembra diventata quasi uno standard per le nuove proposte della casa editrice: forse per aumentarne l'appeal verso i lettori più giovani (o per facilitarne l'esportazione all'estero), o magari per giustificare un prezzo di copertina più alto. In questo caso, però, la scelta mi pare infelice: come l'albo de "Le Storie" aveva dimostrato, il bianco e nero è perfetto per riprodurre gli scenari della Roma del primo Ottocento e le atmosfere ricche di misteri e di intrighi delle vicende raccontate da Billotta. Se non rovina le tavole dei disegnatori (almeno non si tratta di una colorazione "a posteriori", come in altri casi), il colore non vi aggiunge nemmeno nulla e francamente avrei preferito che se ne facesse a meno. Infine, una curiosità: le iniziali del personaggio (M.L.) sono le stesse della proposta della casa editrice che lo ha immediatamente preceduto (Morgan Lost).

lunedì 22 maggio 2017

Chiamarsi Mozart o Einstein...

Chiamarsi Mozart o Chopin, Einstein o Newton, Manzoni o Pasolini può essere quanto meno impegnativo... ma non ha impedito ad alcune persone di diventare celebri a loro volta (anche se naturalmente non quanto i loro omonimi)...

Ecco solo alcuni dei tanti possibili esempi di persone (i link portano alle rispettive pagine su Wikipedia) che, quando si legge il cognome, si pensa a qualcun altro!

NEWTON

Helmut Newton
fotografo

EINSTEIN

Alfred Einstein
musicologo

HITLER

Adolf Lu Hitler Marak
politico

BACH

Richard Bach
scrittore

SCHUBERT

Karin Schubert
attrice

CHOPIN

Kate Chopin
scrittrice

MOZART

Mozart Santos Batista
calciatore

SHAKESPEARE

Craig Shakespeare
allenatore

MANZONI

Piero Manzoni
artista

PASOLINI

Renzo Pasolini
pilota

WASHINGTON

Denzel Washington
attore

GODARD

Benjamin Godard
compositore

Vale anche per i personaggi dei fumetti!

KANT

Eva Kant
(Diabolik)

RASPUTIN

Rasputin
(Corto Maltese)

WAGNER

Kurt Wagner
(X-Men)

BRANDO

Dio Brando
(JoJo)

ARCHIMEDE

Archimede Pitagorico
(Disney)

OMERO

Homer Simpson
(I Simpson)

sabato 25 marzo 2017

Bambini e candele


da "Il ragazzo selvaggio" (1970) di François Truffaut


da "L'esperienza" (1973) di Abbas Kiarostami

venerdì 17 febbraio 2017

Diamo i numeri (541-600)

Con questa tornata di film con un numero nel titolo arriviamo al 600. Ma ormai i buchi sono tanti, troppi: su sessanta ne ho trovati solo 35 [aggiornamento: ora sono 44, ne mancano 16]. E le cose non sono destinate a migliorare (fino a 1000, resteremo attorno al 50% di film trovati; da 1001 a 1800, scenderemo attorno al 20%; ci sarà ovviamente un picco fra il 1801 e il 2100, per via delle tante pellicole con una data nel titolo, prima film storici e poi di fantascienza; e infine, dopo il 2101, un vero tracollo, a parte rari casi dovuti per lo più a grosse cifre tonde).

Dunque, questo è probabilmente l'ultimo appuntamento di questa mini-rubrica con la formula consueta. Conto di proseguire comunque con questo giochino, ma studierò qualche altro formato (per esempio con intervalli più ampi, di almeno 100 numeri – se non di più – al posto degli attuali 60, oppure pubblicando solo le locandine trovate, senza riservare uno spazio a quelle mancanti).

Qui i film da 1 a 60.
Qui i film da 61 a 120.
Qui i film da 121 a 180.
Qui i film da 181 a 240.
Qui i film da 241 a 300.
Qui i film da 301 a 360.
Qui i film da 361 a 420.
Qui i film da 421 a 480.
Qui i film da 481 a 540.